DAL
RISO AL RISOTTO:
Non
si può parlare del risotto senza prima aver detto qualcosa sul riso. La
materia prima; la preparazione, poi. Il riso è una pianta cerealicola
più diffusa del mondo. Se ne conoscono circa 120.000 varietà.
Sulla nascita del riso ci sono molte storie:
C’era
una volta una fanciulla di nome Retna. Era indiana, ed era anche molto
bella. Il Dio Shiva se ne innamorò, e la chiese in moglie. Come
regalo di nozze, Retna chiese al Dio di dare una mano ai suoi
affamatissimi connazionali, donando loro un cibo di cui non si
stancassero mai. Shiva disse di sì, ma poi, sarà che gli Dei hanno
sempre tante cose da fare, sarà perché i suoi collaboratori non erano
all’altezza, non mantenne la sua promessa. Ma Retna teneva duro, a
allora Shiva la prese con la forza. Disonorata e ingannata, la ragazza
si gettò nel fiume sacro, il Gange. E la sua anima si trasformò in una
pianta dai chicchi bianco-dorati: il riso. Così Shiva fu servito. E
soprattutto lo furono gli indiani, che da quel momento ebbero di che
nutrirsi.
Anche
per i cinesi il riso nasce dalla frustrazione di un Dio. Il Genio Buono,
incapace di sfamare gli uomini nel corso di una tremenda carestia, si
strappò i denti e li buttò al vento. Sembra un gesto del tutto
inutile, del tipo gettare i denti a chi non ha il pane. Ma essendo un
dio,sapeva quello che faceva: i suoi denti si trasformarono infatti in
semi, che diedero vita a milioni di chicchi di riso. Uscendo dalle
leggende, sull’origine del riso continuiamo a brancolare nel buio. O
tutt’al più nella penombra delle ipotesi.
Dal
punto di vista linguistico, alcuni risologi sostengono che riso venga da
“orysa”, dall’antico tamil “arisi”. Altri fanno invece
discendere il termine “orysa” da Orissa, città della costa
orientale dell’India, nel golfo del Bengala, ricca di paludi e di
lagune in cui si coltiva il riso. O non è piuttosto l’opposto: che
sia Orissa a derivare da orysa? Sulla culla primigenia del riso fioccano
le teorie: chi dice Giava, chi la Cambogia. Scavando lungo il Mekong,
gli archeologi hanno trovato delle ciotole colme di chicchi di riso che
risalgono a seimila anni prima dell’era cristiana.
Comunque,
in un caso o nell’altro (o nell’altro ancora), quel che è certo è
che il riso è nato in estremo oriente. Risolto un problema, eccone
subito altri due: quando, e per quali vie, il riso è giunto fino a noi?
Poiché è la guerra che muove il mondo, non sorprende che il riso (che
si conserva a lungo) abbia seguito gli eserciti nelle loro
scorribande. Dario, re di Persia, se lo portò appresso fino in
Mesopotamia: e più tardi, intorno al 330 a.C., fu il greco Aristobulo,
al seguito di Alessandro Magno, a far conoscere il riso ai popoli del
bacino del Mediterraneo. A quell’epoca il riso costava molto: il
trasporto incideva molto. Dall’oriente veniva condotto ad Alessandria
d’Egitto, la mitica “Porta del pepe”, e da qui salpava per
l’Europa. Si aggiungevano così altri intermediari, e il prezzo
lievitava ulteriormente. Insomma, all’inizio della sua fortuna in
Occidente il riso costava la medesima: una fortuna. Per fortuna (ancora
lei!) veniva impiegato in piccole dosi; era infatti ritenuto una spezia
rara. Lo si usava come farmaco, sotto forma di infusi e decotti, per
malati di stomaco e di intestino, e come cosmetico, per rendere la pelle
più morbida e luminosa.
Nell’antica
Roma sembra che i gladiatori si dopassero con decotti di riso. Insomma,
nell’antichità col riso facevano tutto, meno che il pranzo e la cena.
L’uso alimentare del riso era ancora molto lontano. Prima dovevano
passare i secoli bui del Medioevo; nei quali l’unico spiraglio di luce
per il riso fu la sua introduzione in Andalusia, al seguito dei
Mori, che vi si erano introdotti nell’VIII secolo d. C. Ovviamente, il
riso coltivato in Spagna costava molto meno di quello proveniente dai
mercati orientali, costretto a viaggiare per mesi.
Complici
gli entrambi diminuiti prezzo e distanza, il riso giunse anche in
Italia. Sia dal nord (forse per mano dei Crociati), che dal sud, via
Sicilia (sempre coi Mori). In Italia settentrionale, fino al 1200, il
riso continuò comunque ad arrivare anche direttamente dall’oriente,
grazie ai mercanti veneziani, che ne osteggiavano fieramente i
tentativi di coltivazione: se avessero preso piede, i loro lucrosi
traffici sarebbero stati in pericolo. Dunque, ecco il riso anche da noi.
Il popolo poteva cominciare a godere di un cibo nutriente, e non troppo
caro? Nemmeno per sogno. L’uso medicamentoso del riso cominciava sì a
scemare, ma in favore di un uso dolciario, e non ancora alimentare in
senso lato. Dell’impiego “medico” del riso in Italia abbiamo le
prove: nei registri dell’ospedale di Sant’Andrea di Vercelli
sono trascritte delle somme spese nel 1260 per l’acquisto di
riso e di mandorle da somministrare agli infermi. Quanto al nascente uso
dolciario, nel libro dei conti del Duca Filiberto di Savoia sono
debitamente registrati ripetuti acquisti di riso per farne dolci. Perché
il riso acquisti dignità di cibo a tutti gli effetti c’è bisogno del
bisogno. Che non tarda presentarsi, sotto le sembianze di carestie ed
epidemie. Fino a quel momento, cioè fino alla metà del XIV secolo, in
occidente c’erano stati degli alimenti che avevano impedito ai morti
di fame di morire di fame: il farro, il miglio, il sorgo, la
segale. Ma, per via di alcune subentranti carestie, questi beni
cominciarono a scarseggiare. La peste che infuriò in Europa tra il 1348
e il 1352 risolse il problema alla radice, eliminando
milioni di bocche: ma quelle che restarono erano così affamate,
che si sarebbero mangiate qualunque cosa. Perché allora non provare col
riso? L’uso
alimentare dl riso nasce da qui. E’ in questo momento che il riso
diventa un cibo salvavita. Per lui è una rinascita, una specie di
secondo ingresso nel mondo degli uomini. Stavolta però dalla porta principale:
lo stomaco. Geograficamente, la via per la quale il riso come alimento
giunge nel nostro paese fa meraviglia: Napoli, la capitale mondiale
della pasta. I responsabili dell’arrivo del riso a Napoli sono gli
Aragonesi,che venendo a prendere possesso della città si tirano dietro
il riso, che loro già conoscevano per via degli Arabi. Così, nel regno
di Napoli il riso cominciò ad essere consumato in quantità sempre
maggiori. Anche se il suo prezzo non era ancora abbastanza basso, Napoli
apre la strada all’uso mangereccio del riso, ma non alla sua
coltivazione. Nel sud non c’è acqua: le risaie stanno molto meglio al
nord, ed è infatti là che si sviluppano nel XVI secolo.
Come
accade non di rado, a rallentarne riassunzione di un rimedio sono coloro
che dovrebbero invece promuoverlo: le autorità amministrative e quelle
sanitarie. I governi locali e i medici non vedevano infatti di buon
occhio l’ impianto delle risaie: erano convinti che i “miasmi”
provenienti dall’ acqua stagnante provocassero la malaria.
L’anofele, la zanzara responsabile della trasmissione all’uomo
dell’agente patogeno della malaria, sarebbe stato scoperto trecento
anni dopo. Fino ad allora le risaie vennero osteggiate: dovevano essere
localizzate lontano dai centri abitati, quando non venivano addirittura
proibite. Va peraltro detto che nel 1584 il collegio dei medici di
Novara “sdoganò” le risaie, affermando che non erano responsabili
della malaria, e limitandosi a accomandare ai risicultori di
evitare che le acque ristagnassero. Nonostante queste difficoltà, la
quantità di terreno coltivato a riso continuò ad crescere. Il
riso cominciava ad essere impiegato nell’alimentazione umana, ma (come
residuo del suo impiego medicamentoso) veniva consigliato solo a chi
avesse dei problemi di salute. Se il riso cominciò ad essere
considerato un cibo adatto a tutti lo si deve anche al medico
senese Pier Andrea Mattioli (1500- 1577), che nel suo ”elogio del
riso” lo raccomanda come facilmente digeribile, gustoso e
fortificante.
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